La festa del Sacrificio, un ponte tra musulmani e cristiani?

Un’estensione di veli colorati, donne sorridenti, bambini scalmanati che cercano di trattenersi per qualche minuto e imitare mamma e papà durante il momento della preghiera; la litanìa della preghiera in arabo (per me che non conosco ancora questa lingua, è una melodia che mi affascina e trasporta ad occhi aperti in terre lontane), vedere persone provenienti da Paesi diversi uniti sotto uno stesso tetto, dimenticandosi, per una volta, delle loro differenze (sì, perché anche tra stranieri i pregiudizi sulle persone di altre nazionalità ci sono eccome). Come ogni anno, è arrivato il momento di festeggiare Aid Al-Adha, la festa del Sacrificio, (chiamata anche Aid Al Kabir, la festa grande), un momento che accomuna cristiani e musulmani. L’episodio della richiesta divina ad Abramo di sacrificare il proprio figlio, infatti, si trova in entrambe le religioni monoteiste, con l’unica differenza che nell’episodio biblico, ad essere sacrificato è Isacco, mentre nel Corano è Ismaele. Un giorno che potrebbe essere un’occasione quindi per fare leva sulle somiglianze di queste due religioni, invece delle differenze, sulla base di quel “dialogo interreligioso” di cui si sente parlare spesso, ma molte volte ci si dimentica. Ma lo scontro con la realtà quotidiana è ben altro. L’afflusso dei fedeli alla moschea della città, o ai luoghi messi a disposizione per questo momento di festa, diventa subito un “j’accuse”: troppe macchine che creano problemi al traffico (e i titoli dei giornali sulla giornata si riducono a quello), unito alle lamentele degli animalisti per il numero elevato di agnelli uccisi, sottolineando i “metodi barbari”(quando basterebbe dare un’occhiata ai vari video circolanti sul web sui metodi “moderni” di uccisione degli animali, o vedere le condizioni in cui vengono allevati, per rendersi conto dell’atroce sofferenza inflitta da questa finta modernità). Non importa se il rallentamento al traffico è dovuto anche alle avverse condizioni metereologiche; fa niente se le partite di calcio allo stadio o le bancarelle del periodo natalizio causano lo stesso disagio. Per certi eventi un occhio si chiude, ma quando si parla di musulmani l’impressione è che basti un passo sbagliato, anche piccolo, per perdere di vista le cose importanti e mettere l’accento su quelle insignificanti. Eppure mi pare che i fedeli musulmani abbiano cercato, negli ultimi anni, di trovare una via di mezzo per i festeggiamenti. La tradizione, infatti, vorrebbe che ogni famiglia sgozzasse un agnello nel ricordo della fedeltà di Abramo ad Allah, donando ¼ dell’animale a una famiglia bisognosa. In Italia ci si è adeguati ai regolamenti previsti dall’Asl: ci si reca nelle macellerie islamiche autorizzate, oppure si può scegliere di donare il corrispettivo dell’acquisto dell’animale a Islamic Relief, associazione umanitaria che promuove lo sviluppo economico e sociale. Una luce di speranza la gettano però quei preti e quegli imam che cercano di creare dei ponti tra le religioni, in nome di un dialogo e di un rispetto reciproco. Peccato che queste persone non trovino spesso spazio e parola sui mass media. Proprio uno di questi don ha ricordato la posizione della Chiesa nei confronti delle altre religioni, in particolar modo verso i musulmani. Una posizione sottolineata durante il Concilio Vaticano II, di cui si festeggia il 50° quest’anno. Vi si affermava infatti: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. (…) Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno”. Uno spunto che potrebbe essere una partenza per vedere, l’anno prossimo, questa ricorrenza con uno sguardo diverso.

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